Il Baule o cassa per la biancheria
Baule o cassa per la biancheria (la cassetta / lu baulle).
L’uso del canterano per riporre lenzuola e biancheria è piuttosto recente in ambito rurale. Il mobile tradizionalmente adibito a questo scopo era una cassa di legno di forma parallelepipeda munita, nella parte superiore, di un coperchio ribaltabile munito di serratura. Le pareti della cassa erano di legno massiccio di alberi locali (cerro, pioppo) tenute assieme da chiodi. Nella parte inferiore della cassa da biancheria correva tutt’attorno una fascia che serviva da piede. Sul davanti, nella parte inferiore la fascia era sagomata. Una cornice modanata a pialla abbelliva la fascia inferiore e, a volte, correva attorno alla cassa alla metà circa dell’altezza. All’interno, addossata al lato minore sinistro, vi era una cassetta munita di coperchio adibita a custodia dei preziosi (orecchini, collana di corallo). La cassa per la biancheria era la medesima con la quale la donna portava il corredo alla casa maritale.
Struttura della tradizionale cassa nuziale e cassa per la biancheria
La culla
La culla.
Questo mobile era presente solo nelle case delle famiglie “benestanti”, quelle che avevano modo di farsi costruire una culla dal falegname locale. Le famiglie più povere, sebbene la rigida autarchia aveva reso abili a costruire attrezzi e rustici mobili, non usavano la culla ma cassette di legno, grosse ceste, oppure facevano dormire i bambini accanto ai genitori. Quest’ultimo costume provocava, talvolta, il soffocamento del neonato oppresso dalla madre esausta per le fatiche quotidiane e immersa in un sonno profondo. Un episodio del genere è narrato anche nella vita del santo locale Giuseppe (al secolo Eufranio Desideri). La culla era formata da una base in legno sulle cui alzate era sospesa una cassa abbastanza profonda in cui era sistemato il pagliericcio. Mediante due perni, la cassa della culla poteva oscillare in modo da conciliare il sonno del pargolo strettamente avvolto nelle fasce.
Culla – cuna (n. i. 108)
provenienza: Leonessa
materiale: legno di faggio
descrizione: la culla si compone di un corpo e di due supporti verticali muniti di piede e tenuti fermi, in basso, da una catena di legno a sezione tonda e da una seconda catena alla metà circa dell’altezza. Il corpo, a cm. 22,5 dal bordo, si rastrema verso il fondo. Il corpo della culla bascula mediante due perni di legno passanti nei supporti verticali. Una zeppa di legno, passante in fori praticati nei supporti e nel corpo, permette di bloccare il movimento oscillatorio. I supporti sagomati sono inseriti a incastro nei piedi. Attorno all’apertura corre un bordo a profilo semicircolare
misure: corpo: apertura superiore cm. 83,5 x cm. 65,8; h. interna cm. 42,7; fondo: cm. 79 x cm. 22; h. tot. cm. 90,8; lg, tot. (compresi i supporti) cm. 95,5; gambe: lg. max. cm. 15,3, min. cm. 7,2, spess. cm. 2,3; piedi: l. cm. 39 sp. cm. 3,5
stato di conservazione: ottimo
acquisizione: prestito indefinito di Tonino Zelli. La culla era appartenuta alla madre
anno: 2012
Ferro da stiro
Il ferro da stiro (fero pe’ stirà’).
Un metodo per riscaldare le lenzuola consisteva nel passare sulle medesime un ferro da stiro ben caldo, in genere il pesante ferro da stiro in ghisa che non mancava mai nelle case rurali.
Ferro da stiro – fero pe’ stirà (n. i. 261)
provenienza: Leonessa
materiale: ferro (manico) e ghisa (corpo)
descrizione: ferro da stiro
misure: l. cm. 14,3; lg. cm. 9,5; h. cm. 10; base: spess. cm. 2,5 ca.; h. tot. cm. 8,7
stato di conservazione: ottimo
acquisizione: donato da Loredana e Ovidio Jacorossi
anno: 2015
Curiosità
Il mattone.
Per scaldare il letto prima di coricarsi, in mancanza d’altro, si usava un mattone ben caldo col quale si “stiravano” le lenzuola.
Scaldaletto, scaldini e bracieri
Gli scaldaletto.
Il rigido clima di Leonessa obbligava ad aguzzare l’ingegno e a escogitare i mezzi utili a riscaldare, o intiepidire il letto prima di coricarsi. Un vecchio detto locale dice: «A Leonessa: undici mesi de friddu e unu de friscu». Nelle stanze da letto di un tempo, il riscaldamento era assente tranne, a volte, la presenza di un braciere. La tenuta delle imposte delle finestre e delle porte, inoltre, non era tale da garantire la tenuta del calore nell’ambiente. A ciò si aggiungeva, nelle dimore più povere, il fatto che il soffitto della stanza da letto era fatto di travicelli su cui poggiavano i coppi di copertura del tetto. Sovente, dalle fessure tra i coppi filtravano i fiocchi di neve.
Scaldaletto a traliccio (lu prete).
Lo scaldaletto a traliccio era molto usato a Leonessa per via del clima decisamente rigido del lungo inverno. Questo tipo di scaldaletto – maliziosamente chiamato “prete” – constava di un’armatura in legno contenente il braciere (la mònica). Infilato tra le lenzuola sotto le coperte, il “prete” intiepidiva il letto quanto bastava per evitare il contatto del corpo con le lenzuola gelate. Esistevano due tipologie di “prete”: con le estremità dell’armatura congiunte e con le estremità disgiunte, entrambi presenti nella nostra raccolta museale. Il piano d’appoggio del braciere era sempre rivestito da un lamierino di ferro o latta per evitare che il calore della brace contenuta nel braciere riscaldasse troppo il legno. Anche la parte mediana del traliccio sovrastante il braciere era foderata, all’interno, da lamierino.
Scaldaletto a traliccio chiuso – prete (n. i. 110)
provenienza: Leonessa
materiale: traliccio in legno di frassino, fondo e copertura in legno compensato ricoperto all’interno di lamierino zincato
descrizione: il traliccio in strisce di frassino presenta un profilo a losanga. Ai due estremi, nel senso della larghezza, è fissato a due traverse. Il fondo e la copertura sono inchiodati alle strisce. Al centro, due assicelle verticali mantengono divaricato il telaio in altezza. Fabbricazione artigianale
misure: l. cm. 124,5; lg. cm. 33,5; h. cm. 38; strisce: lg. cm. 4, spess. mm. 8; fondo e copertura: cm. 28 x cm. 33,5, spess. mm. 6; traverse: cm. 33,5 x cm. 4 x cm. 2,7
stato di conservazione: ottimo
acquisizione: dono di Maria Chiaretti
anno: 2010
bibliografia: Scheuermeier 1996, II: 78-79 e fig. 211; foto 99, 100
Scaldaletto a traliccio aperto – prete (n. i. 209)
provenienza: San Vito (Leonessa)
materiale: legno di faggio; assicelle in legno di abete
descrizione: scaldaletto di fabbricazione autarchica formato da quattro stanghe di faggio dal profilo leggermente ricurvo e da due ripiani formati uno da un sol pezzo, l’altro da assicelle; la parte superiore e inferiore dello scaldaletto sono tenute separate da quattro pioli tondi passanti in fori praticati nelle stanghe la cui tenuta è assicurata da zeppe di legno duro inserite nel diametro del piolo
misure: l. cm. 105; h. max. cm. 33; stanghe: spess. massimo cm. 3; ripiani: cm. 33 x cm. 33
acquisizione: dono di Maria Adelaide Di Persio
stato di conservazione: ottimo
anno: 2014
bibliografia: Scheuermeier 1996, II: 78-79 e fig. 211; foto 99, 100
Braciere da letto – mònica (n. i. 109)
provenienza: Leonessa
materiale: ghisa
descrizione: profilo tronco-conico, bordo dentellato con 6 aperture alternate di cm. 3 x cm. 1,7 ciascuna. All’interno, fondo rimovibile con aperture longitudinali
misure: diam. sup. est. cm. 19,5; diam. inf. est. cm. 15; pareti: spess. mm. 5 h. cm. 8,2
stato di conservazione: ottimo
acquisizione: dono di Maria Chiaretti. Appartenuto al padre. Fine Ottocento.
anno: 2010
Scaldino di rame, (scallaliéttu).
Questo tipo di scaldino era composto da un recipiente in rame, munito di coperchio forato apribile, che fungeva da braciere, assicurato a un manico in ferro in genere fornito di impugnatura di legno. Un volta riempito di brace, con lo scaldino si strofinavano le lenzuola prima di coricarsi.
Scaldino – scallaliéttu (n. i. 107)
provenienza: Leonessa
materiale: rame; manico in ferro; impugnatura in legno
descrizione: lo scaldino si compone di un manico e di un corpo in rame munito di sportello apribile destinato a contenere le braci. Il manico di ferro è munito d’impugnatura in legno. Il corpo è fissato al manico da due rivetti di rame. Il coperchio è decorato a sbalzo sulla circonferenza da buccellature e presenta fori di aerazione tondi e a losanga. Su manico è incisa una P
misure: l. tot. cm. 61; diam. superiore cm. 19; diam. alla base cm. 20; coperchio: diam. cm. 21, lg. tot.; manico di ferro: cm. 40; manico di legno: lg. cm. 12,3, diam. max. cm. 2,8
stato di conservazione: ottimo
acquisizione: dono di Loredana e Ovidio Iacorossi
anno: 2012
bibliografia: Scheuermeier 1996, II: 78; 79 fig. 209
Scaldino di rame con manico in ferro. Diam. alla base del coperchio cm. 22,2 h. cm. 12,7 l. tot. 51. Ocre S. Pietro. Collezione privata
Piccolo scaldino di rame; manico in rame; coperchio ribaltabile. Usato per scaldare la culla o il lettino dei bambini. Diam. cm. 9,2 diam. max cm. 11,8 h. cm. 7,5 l. cm. 20,5. Ocre S. Pietro. Collezione privata
Scaldini dei poveri.
Non tutti potevano permettersi l’uso del costoso scaldino di rame, sicché, in alternativa, oltre agli scaldini a traliccio che potevano anche essere autocostruiti, per riscaldare le lenzuola erano usati il ferro da stiro o un mattone previamente riscaldati alla fiamma del focolare.
Le lenzuola di canapa e pagliericcio
Le lenzuola di canapa (le linzola).
Le tradizionali lenzuola, celebri per la loro virtuale indistruttibilità, erano tessute sul telaio domestico usando la canapa. Caratteristica di queste lenzuola era la ruvidezza al tatto, un tempo considerata un inconveniente, oggi rivalutata perché, a quanto sembra, aiuta ad attivare la circolazione sanguigna.
“Lu ròdulo”. Con questo nome era conosciuto il rotolo di tessuto di canapa portato in dote dalla sposa. Li ròduli formavano parte imprescindibile del corredo nuziale. Il numero degli stessi, ovviamente, variava a seconda delle possibilità economiche della famiglia della ragazza. La pezza di canapa tessuta sul telaio domestico, lunga circa due metri e larga una settantina di centimetri, veniva ripiegata a metà nel senso della lunghezza e avvolta a formare un rotolo. Il numero di rotoli del corredo, per tradizione, doveva essere sempre dispari, a eccezione del numero dodici. Poche, però, erano le ragazze che potevano permettersi la quantità di rotoli necessaria a eguagliare questo numero fausto propiziatore di abbondanza.
Rotolo nuziale di canapa – ròdulo (n. i. 239MA)
provenienza: Cupra (A.P.)
materiale: canapa
descrizione: rotolo facente parte di un antico corredo nuziale. Il telo di canapa, tessuto al telaio, è piegato in due e arrotolato. Si conservano le cuciture originali
misure: lg. cm. 34; diam. cm. 16
acquisizione: dono di Vermiglio Ricci
stato di conservazione: ottimo
anno: 2015
Iniziali ricamate su lenzuolo di canapa
Il pagliericcio (lu pajò’).
Il paglione consisteva in un sacco di tessuto di canapa di grandezza sufficiente a coprire il tavolato, munito di due aperture laterali in cui infilare le mani per sprimacciare le foglie di granturco che fungevano da imbottitura. Prima ancora del granturco, si usava riempire il paglione con paglia (da cui il nome). Chi non coltivava il granturco, otteneva le brattee secche in ricompensa del lavoro della sgranatura offerto ai coltivatori. I materassi di lana ovina erano considerati un genere di lusso, dato che la lana prodotta dal piccolo gregge proprietà della famiglia era venduta, o scambiata.
La “scartocciatura” del granturco e l’usanza de “lu tùturu rusciu”
Per riempire il pagliericcio, si usava la paglia oppure le brattee del granturco, pianta che non alligna molto bene a Leonessa per via del clima. Per procurarsi le “foje de lu granturcu” si partecipava al lavoro comunitario della sfogliatura e sgranatura, operazione detta “scartoccià”. Come in tutti i lavori che contavano con la partecipazione volontaria dei membri delle comunità rurali, la prestazione d’opera era ricompensata con una merenda, o una cena, qualche bicchiere di vino e le fruscianti “foje” per riempire il pagliericcio.
«Durante il lavoro di sgranatura del granturco chi avesse trovato una pannocchia rossa (tùturu rusciu) avrebbe ottenuto l’ambito privilegio di baciare, fra le presenti, la ragazza di suo gradimento. Questa, peraltro, in omaggio alle strette norme che regolavano l’etica sociale e per evitare le “male lengue”, doveva mostrare un’ostentata ritrosia come segno di modestia e di buona educazione. Sottolinea argutamente un nostro informatore: “Magari quella se vergognava, perché anticamente non se usava ‘n pubblico: pe’ potella bacià o la dovevi pijà de prepotenza, o costringela. A parte ch’era contenta lo stesso, però pe’ quanto sia facea finta, magari, de no esse contenta de fronte a la gente”» (Polia-Chávez 2002: 245).
Un’usanza simile era in vigore nelle Marche durante la sfogliatura (scardezzatura) del granturco. Qui la pannocchia rossa era detta “lu pupu rusciu”.
In Spagna, nella regione di Alpujarra, se a trovare la pannocchia rossa era una ragazza, questa doveva toccare col coltello la fronte dei ragazzi che partecipavano alla sfogliatura, se invece il fortunato era un ragazzo, aveva il diritto di abbracciare tutte le ragazze presenti: un “abbraccio” che si riduceva a un casto colpetto di mano sulla spalla (Brenan 2001: 85).
La stanza da letto
La stanza da letto
Nelle case rurali più antiche, comunicante con la cucina da cui perveniva il debole calore prodotto dal focolare domestico, la stanza da letto era disadorna. Il mobilio si componeva del letto, o dei letti; della cassapanca destinata alla custodia della biancheria, più tardi sostituita dal canterano (lu commò); d’un armadio; del lavabo. L’uso del comodino (la colonnètta) risale alla fine dell’Ottocento. Sopra il letto, appesa alla parete, un’immagine sacra o il crocefisso e l’immancabile “parma”: la fronda d’ulivo benedetta nella Domenica delle Palme destinata a proteggere i dormienti. Molto speso, accanto al letto vi era una piccola acquasantiera. D’inverno, il clima della stanza da letto era rigido, tanto da obbligare a usare il braciere, oppure vari tipi di scaldini da letto.
Il letto (lu liéttu).
Nelle case rurali, la forma tradizionale e più antica di giaciglio consisteva in tavole poggiate su due cavalletti, in genere di ferro. Dagli inizi del Novecento, si diffuse l’uso delle sponde da letto in ferro abbinate alla rete metallica. In molte case rurali si conservano ancora le monumentali testiere degli avi laccate di nero, con sfere e ornamenti d’ottone, oppure quelle decorate con motivi floreali o paesaggi dipinti su lamiera. Tornando al letto più antico, sul tradizionale tavolato veniva steso il paglione (lu pajò) che fungeva da materasso.
Stoviglie e piatti, riparazione, pulizia e lucidatura
Stoviglie.
Le stoviglie più antiche erano di legno o di ceramica; più tardi entrarono in uso i piatti in ferro smaltato.
Piatto di ceramica (n. i. 209)
provenienza: San Vito (Leonessa)
materiale: ceramica
descrizione: piatto piano decorato sulla faccia a vista con soggetti orientaleggianti (donne tra alberi in fiore). La particolarità del pezzo, che lo rende degno di essere esposto, è la riparazione mediante grappe metalliche di una rottura che aveva diviso il piatto in due parti. Le grappe sono sette – due sul bordo e cinque sul fondo – tutte non passanti
misure: diam. cm.31 cm.; parte concava: diam. cm. 23,7 h. cm. 3,1; spess. mm. 7
acquisizione: dono di Maria Adelaide Di Persio
stato di conservazione: ottimo
anno: 2014
La tavola.
Le tavole da pranzo più antiche, costruite con assi robusti, ereditate dagli avi, erano di notevoli dimensioni in quanto attorno ad esse si riunivano famiglie assai numerose.
La riparazione delle stoviglie. Fino agli anni Cinquanta, giravano per borghi e paesi artigiani, detti “conciabrocche”, specializzati nella riparazione di stoviglie. Muniti di un trapano a mano, eseguivano dei fori obliqui non passanti nei quali infilavano grappe costruite con filo di ferro. I usavano uno speciale collante a base di calce e chiara d’uovo che assicurava alle parti riparate e alle grappe una tenuta ottimale. La perizia dell’artigiano permetteva di riparare le ceramiche evitando il passaggio delle grappe di ferro all’interno delle stesse. Ciò per evitare la corrosione e l’alterazione dei sapori e, nelle ceramiche di migliore qualità, per fini estetici.
Terrina ceramica – piattélla o ‘nzalatiéra (n. i. 90)
provenienza: Villa Pulcini (Leonessa)
materiale: ceramica inventriata
descrizione: insalatiera di fabbricazione industriale, sul fondo il marchio VED////&FIGLIO con stemma. Rotta in antico e riparata da artigiano specializzato (“conciabrocche”) con grappe di filo di ferro inserite in fori non passanti
misure: diam. sup. cm. 31,5; diam. inf. cm. 22,3; h. cm. 11,2
stato di conservazione: rotta in antico e riparata
acquisizione: dono di Gina e Luigi Pulcini
anno: 2011
bibliografia: Scheuermeier 1996, II: foto 466 (da Rieti)
Pulizia e lucidatura degli utensili di rame.
Gli utensili di rame, simbolo di agiatezza, quando non erano usati facevano bella mostra di sé appesi alle pareti della cucina, o ai ganci delle assicelle di legno infisse al muro, dette “‘ppiccarame”. Per liberare le pareti esterne dei recipienti di rame dalla fuliggine, si usava strofinarli con la sabbia.
Pulizia con la cenere (liscìja).
Almeno una volta l’anno, in occasione dell’inizio della Quaresima, mantenuta viva dallo scrupolo religioso, la tradizione imponeva alla massaia di pulire a fondo i recipienti usati nel corso dell’anno per cucinare alimenti proibiti dal digiuno quaresimale, quali la carne e lo strutto di maiale. A tal fine, si faceva bollire in acqua una certa quantità di cenere del focolare con la quale si lavava accuratamente l’interno del recipiente per liberarlo da qualsiasi traccia di grasso, anche la più piccola. L’operazione – molto efficace perché la cenere saponificava i grassi rendendoli solubili in acqua – aveva luogo dopo la mezzanotte del Martedì Grasso, ultimo giorno di Carnevale, per celebrare il quale si era consumata una grande quantità di strutto di maiale:
Carnovale, juttu juttu
s’è magnatu ‘na pila de struttu,
Quaravesima, poverella,
s’è magnata la saraghèlla
Ossia: “Carnevale, ghiotto ghiotto, s’è mangiato una pila di strutto, la Quaresima poverella s’è mangiato il pesce secco (saraghèlla)”
Lucidatura del rame.
Per lucidare il rame, dopo aver strofinato con forza l’esterno del recipiente sporco di fuliggine con sabbia, o paglia di ferro, lo si ripuliva e tirava a lucido usando una pasta ottenuta mescolando cenere e aceto.
Appenditoi e ganci
Appenditoi circolari a soffitto.
Un tipo speciale di appenditoio era “lu cérchiu” composto da un cerchio il legno di faggio piegato a caldo, con estremità sovrapposte e inchiodate oppure sagomate e munite di asola passante. Il cerchio era assicurato a delle funicelle di canapa convergenti, al centro e in alto, verso un gancio di legno (si preferiva per la sua resistenza il corniolo, o crognale) cui erano annodate le loro estremità. Usato per appendere salumi, il cerchio offriva una buona protezione dai topi.
Cerchio pensile da salumi – cérchiu (n. i. 104)
provenienza: Leonessa
materiale: legno di faggio (cerchio); corniolo (gancio); funicelle di canapa
descrizione: il cerchio è formato da una striscia di legno la cui estremità sagomata è stata fatta passare in un’asola. Una serie di funicelle di canapa legate attorno alle pareti del cerchio convergono in alto in un gancio di legno la cui parte inferiore è stata attorta in modo da formare un’asola. scopo del cerchio pensile era assicurare ai salumi protezione dai topi
misure: diam. 37,8; cerchio : h. cm. 6,8, spess. mm. 8
stato di conservazione: buono
acquisizione: dono di Tonino Zelli
anno: 2012
Appenditoi a soffitto.
Per comodità d’uso e anche per mettere in salvo i prodotti commestibili dalle aggressioni dei topi, in cucina e anche nella dispensa si usavano appenditoi, fissi o mobili, cui venivano appese pannocchie di mais, serti di aglio o cipolle, lardo, salumi per l’uso quotidiano.
Appenditoi fissi (stangarelle).
Nelle case rurali e anche nelle altre abitazioni specie in cucina, non mancavano mai le “stangarelle”, usate per appendere prodotti commestibili. Due anelli di ferro murati al soffitto, cui erano assicurati dei legacci, servivano da supporto a un lungo bastone, o stanga, da cui il nome “stangarella”. Ovviamente, le “stangarelle” pendevano anche dai soffitti delle cantine e delle dispense dove erano usate per appendere a stagionare i salumi.
Ganci da appendere.
I ganci usati per appendere salumi, serti d’aglio, ecc. erano realizzati in legno, oppure in ferro per i carichi più pesanti. Per i ganci in legno si usava il durissimo legno del corniolo (crognale).
Macinini
Macinini da caffè (macinini).
Di fabbricazione industriale, erano usati per macinare il prezioso caffè riservato alle grandi occasioni e, più spesso, l’orzo tostato. Scomparvero quando giunsero sul mercato le confezioni di caffè già tostato e macinato.
Dalla Frazione Ocre S. Pietro. Collezione privata
Da Leonessa. Collezione privata
Dalla Frazione di Ocre, Casale Bolletta
Tostatori
Strumenti per la tostatura dei cereali.
Per la tostatura dei cereali, operazione limitata soprattutto all’orzo usato per preparare il “caffè”, ci si avvaleva di tostatori di fabbricazione artigianale, detti “bruschini”. Meno frequentemente si usavano padelle con agitatore centrale munito di manico girevole. Per quanto riguarda il caffè, le rare volte che lo si usava, si comprava caffè da tostare in casa, usando la quantità necessaria all’uso immediato. Per dolcificare il caffè, bene di limitato consumo, si usava un altro ingrediente considerato “da ricchi”: lo zucchero di barbabietola comprato allo spaccio.
A Leonessa si seminava una speciale varietà d’orzo adatto alla tostatura chiamato “orzo da caffè”. Il vero caffè era un bene usato con parsimonia e solo nelle grandi occasioni. Il “caffé” domestico era preparato facendo bollire nella cuccuma l’orzo previamente tostato nel “bruschino” e macinato. I più facoltosi aggiungevano all’orzo tostato qualche chicco di caffè “vero”: «cinque o sei vaca (chicchi) la ‘n menzu, propriu come l’acquasanta» ci diceva un anziano informatore. Dopo un’adeguata bollitura, si versava nella cuccuma un po’ di acqua fredda in modo da permettere ai fondi (“la pósa”) di depositarsi sul fondo del recipiente.
Tostatori girevoli (bruschini).
“Lu bruschinu” tipico consta di un cilindro in lamierino di ferro, spesso ricavato da un barattolo, munito di uno sportellino apribile a scorrimento, o mediante cerniera. Un lungo tondino di ferro, a volte munito di manico in legno, o di gancio terminale, attraversava il corpo dell’attrezzo fuoriuscendo da esso. Questa sporgenza terminale era infilata a uno degli anelli della catena del focolare, o ad altro supporto.
Cilindro per tostare grani – bruschinu (n. i. 102)
provenienza: Leonessa
materiale: ferro, lamierino di ferro e manico in legno
descrizione: l’attrezzo si compone di un cilindro rotante e di un lungo gambo in tondino di ferro, munito di manico in legno, che attraversa il cilindro fuoriuscendo per cm. 3,5. Il cilindro è munito, nel senso della lunghezza, di uno sportellino che scorre fra due guide in lamierino fissate da rivetti. Lo sportellino è munito di un’ansa in lamierino per permetterne l’apertura. Un filo di ferro, le cui estremità sono arrotolate intorno al gambo in modo da poter ruotare liberamente, scavalca il cilindro e permette di sospendere l’attrezzo al gancio del camino. Il manico, all’estremità, è fornito di un anello di ferro che permette di appendere l’attrezzo quando non è in uso
misure: l. tot. cm 72,5; gambo : diam. mm. 8; cilindro: l. cm. 13, diam. cm. 9; manico in legno: l. cm. 11; diam. max. cm. 2,7
stato di conservazione: ottimo
acquisizione: dono di Antonio Vulpiani
anno: 2012
Cilindro per tostare grani – bruschinu (n. i. 195)
provenienza: Leonessa
materiale: ferro e lamierino di ferro
descrizione: cilindro per tostare orzo o caffè di fabbricazione artigiana composto da un cilindro munito di sportellino chiudibile a leva attraversato da un lungo tondino di ferro munito di un’impugnatura ripiegata ad anello; l’altra estremità, spianata a martello, finisce in punta
misure: l. totale cm. 94; cilindro: l. cm. 19, diam. cm 9.5; tondino: diam. mm. 5, lg. cm. 8 l
stato di conservazione: ottimo
acquisizione: dono di Leonino Chiaretti
anno: 2014
dettaglio corpo del tostatore
Cilindro per tostare grani – bruschinu (n. i. 197)
provenienza: Leonessa
materiale: ferro (lamiera, lamierino, fettuccia)
descrizione: l’attrezzo si compone di due parti separabili: il fornello e il cilindro rotante. Il fornello, in lamiera munita di aperture, di fabbricazione industriale, di forma parallelepipeda, è munito di due maniglie a fettuccia assicurate al corpo mediante rivetti ribattuti. Il fornello è munito di quattro gambe ricavate da una fettuccia di ferro e, all’interno, presenta dei supporti per l’alloggio della grata su cui veniva acceso il combustibile. La grata è formata da una serie di fettucce di ferro assicurate, mediante rivetti ribattuti, a un telaio. Nella parte superiore del fornello, a destra e a sinistra, sulle pareti minori, sono presenti un foro per il passaggio del perno del cilindro e un incavo per alloggiare la fettuccia di ferro cui è fissato il cilindro e permetterne la rotazione. Il cilindro presenta a un’estremità un perno, all’altra un manico di ferro, ripiegato nella parte finale in modo da facilitare il movimento di rotazione, e di un manico di legno. La lunga fettuccia di ferro – com’è consueto in questo tipo di attrezzo – attraversa all’interno il cilindro da cui fuoriesce terminando in un perno ottenuto per battitura a caldo. Il cilindro è costruito con lamierino di ferro piegato circolarmente e assicurato, mediante battitura, a due piastre tonde di lamierino leggermente bombate. Su un lato, è dotato di uno sportellino scorrevole tra due guide, assicurate al cilindro mediante rivetti ribattuti, munito di un anello che permetteva il passaggio del gancio che serviva ad aprire il cilindro quand’era caldo
misure: fornello: l. cm. 30 (maniglie escluse) lg cm. 19,30, h. cm. 27 (comprese le gambe); cilindro: l. cm. 23, dalla punta al manico cm. 55,5; diam. cm. 14, l
stato di conservazione: ottimo
acquisizione: dono
anno: 2014
dettaglio del cilindro del tostatore
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