Museo Civico di Leonessa (Ri)   -   (+39) 0746-923212

Wednesday, 26 July 2017 20:21

Panche da focolare

Panche da focolare.

La panca da focolare, in legno, aveva forma leggermente curva per permettere agli occupanti di rimanere a una distanza pressoché equidistante dal fuoco. Ai due estremi, la panca da fuoco era munita di braccioli. Caratteristica di questo mobile era la spalliera molto alta la quale, continuando in basso sotto il sedile fino a toccare il pavimento, permetteva di isolare coloro che vi si sedevano dalla corrente fredda richiamata dal flusso ascensionale dell’aria calda nella cappa. Un vecchio proverbio recitava in proposito: «Lu caminu, denanzi te scalla, deretru te gela». La panca da focolare ovviava il meglio possibile a questo inconveniente, tipico dei camini sprovvisti di retroalimentazione.

 

 

Published in La casa rurale
Saturday, 22 March 2014 00:00

Catene da focolare

Le catene da focolare servivano ad appendere e mantenere i recipienti sul fuoco. Costruite da fabbri locali, si compongono di tre parti:
1. Gancio superiore ricavato da una barretta di ferro piegata, in alto, a formare un’ansa abbastanza ampia da permettere l’aggancio con la barra di ferro murata all’interno della cappa e, in basso, a formare un gancio più acuto e più stretto che serve ad agganciare gli anelli della catena, oppure ad agganciare direttamente il manico dei grandi caldai. Alla base del gancio, un foro passante serve a permettere il passaggio del primo anello della catena.
2. Catena: formata da un certo numero di anelli (a seconda dell’altezza interna del camino) poteva essere usata in tutta la sua estensione, oppure agganciata in modo da accorciare la distanza e sollevare il recipiente. All’ultimo anello della catena è fissato il gancio inferiore.
3. Gancio inferiore: serve ad alloggiare il manico di recipienti più piccoli (pentolini, ecc.) ed è costruito usando una barretta di ferro spianata a martello, in basso, a formare il gancio e, in alto, ripiegata ad anello. In genere, il gambo del gancio inferiore è lavorato a tortiglione.

Catena da focolare – catena (n. i. 267)

provenienza: Leonessa
materiale: ferro
descrizione: antica catena da focolare di fabbricazione artigianale
misure: l. tot. cm. 131; barra del gancio superiore: l. tot. cm 73, lg. cm. 2,7, spess. mm. 7; anelli della catena: diam. est. cm. 8,5; gancio inferiore: l. cm. 18, lg. cm. 3
stato di conservazione: ottimo
acquisizione: dono

anno: 2009

In alcune catene da fuoco, la parte inferiore del gancio superiore (quella in cui era assicurato il primo anello della catena) e la parte terminale del gancio inferiore (quella cui veniva agganciato il recipiente) invece di un solo gancio terminava con due ganci contrapposti. Questo tipo di catena poteva essere usato in tutta la sua estensione, oppure, agganciando i ganci terminali alla barra passante nella cappa del camino, si avevano a disposizione due doppi ganci terminali cui sospendere i recipienti. Gli anelli della catena, a loro volta, potevano essere usati per alloggiare ganci, o catenelle (v. sotto).

Published in La casa rurale
Saturday, 22 March 2014 00:00

Il focolare

Focolare e rituali domestici.
Alcune delle antiche usanze riguardanti il focolare nel suo ruolo di centro ideale della famiglia e luogo dotato d’una propria intensa sacralità, sono sopravvissute fino ai nostri giorni. La più significativa di esse consisteva nelle offerte che, la sera della vigilia di Natale, venivano deposte o versate sul ceppo natalizio (lu cippu) ritualmente collocato nel focolare dal padre di famiglia, o dal membro più anziano di essa.
L’offerta più diffusa consisteva nel versare sul ceppo che ardeva un bicchiere di vino accompagnando l’offerta con delle formule auguranti salute al capofamiglia come, ad esempio, la seguente:
Cippu, cippone
mòre lu cippu
e campa lu patrone.  

A compiere l’offerta era il capofamiglia, oppure il più anziano di casa. Il ceppo di Natale era scelto con cura nel bosco fin dalla tarda primavera in modo che avesse tempo per asciugare. Si preferiva il legno della quercia tagliando la parte del tronco sovrastante le radici (lu petecone). Il ceppo, per tradizione, era destinato ad ardere fino all’Epifania. Si credeva che alla vigilia del Natale, trascorsa la mezzanotte, la Sacra Famiglia entrasse in ogni casa per sostare un poco accanto al focolare domestico. Per questo, si aveva cura di lasciar libera la cucina disponendo dinanzi al fuoco due sedie, per Giuseppe e per Maria, e una piccola sedia (sediòla) per il Bambino Gesù. La cenere residua, una volta arso il ceppo natalizio, veniva sparsa nei campi coltivati, o ai piedi delle piante da frutto perché propiziasse la fertilità della terra. Lo spargimento della cenere, in genere, avveniva il giorno di  Natale al mattino. Quando la cenere era sparsa su un campo coltivato a grano (‘ranu), si usava recitare le seguenti formule accompagnandole con la recita d’un padrenostro:
‘Ranu, ‘ranittu
Si’ binidittu!
Oppure: «‘Ranu, ‘raniju mia, te pòzza satollà come me so’ satollatu/a io la sera de Natale!».

La formula seguente era recitata, molto tempo addietro, nella frazione di Albaneto:
Avant’ieri fu Natale
ieri fu santu Stefanu
oggi è san Giovanni.
La cennere pe li campi.
Addò ‘rriva la mia voce
non ce pòzza graninà,
né acqua e né vientu
nisciunu malu tiempu.
Come me satollai avanti sera io
io cuscì se pòzzano satollà li ‘rani mia,
come me satollai io ieri e dimani
cuscì se pòzzano satollà tutti li ‘rani.

Il fuoco era considerato, per sua essenza, supremo agente purificatore per questo, quando un’immagine sacra era ormai così deteriorata da dover essere smessa, in segno di rispetto veniva bruciata nel focolare domestico. Lo stesso si faceva con i ramoscelli d’ulivo benedetto nella Domenica delle Palme (le parme) quando si portavano a casa i nuovi ramoscelli. Quando le donne, specie le giovani, si tagliavano i capelli, li gettavano nel fuoco domestico per evitare che qualcuno se ne impossessasse per comporre fatture. La madre che aveva il flusso latteo troppo abbondante, premendo il seno faceva cadere tra le fiamme del focolare qualche goccia di latte. Oltre a consumare quel prodotto della donna, di per sé sacro, il fuoco agiva analogicamente sulla fonte “disseccando” la produzione eccessiva. Quando, in omaggio alla tradizione, si lavava il corpo d’un morto col vino, si gettava nel focolare il vino usato a tal fine per neutralizzare il nefasto contagio. 

Nella Valnerina, confinante con l’altopiano leonessano, quando si accoglieva in casa un animale – cane o gatto – con l’intenzione che vi si stabilisse, per far sì che si affezionasse alla sua nuova dimora e non fosse tentato di scappar via, lo si faceva girare per tre volte attorno al focolare, o  alla catena del camino. L’origine di questa pratica, diffusa anche nella Valle d’Aosta, è certamente celtica.

Quando si vegliava un defunto, per tutto il tempo in cui la salma sostava in casa era strettamente vietato accendere qualsiasi tipo di fiamma, incluso il fuoco del focolare per riscaldarsi o cucinare. In omaggio a questo tabù, risalente alle usanze della Roma precristiana, i parenti del defunto dovevano consumare cibi offerti da altri parenti, o dai vicini di casa, i quali erano stati cucinati su focolari diversi da quello della casa in lutto. In occasione delle feste dei morti, durante la notte, si usava lasciare il fuoco acceso e, sulla tavola, la conca con l’acqua e del cibo per rifocillare le anime degli antenati che tornavano a visitare i loro congiunti.

Formule per l’accensione del fuoco.
Molto tempo addietro, tra il serio e il faceto, al momento di accendere il fuoco, si usavano recitare alcune formule come le seguenti:
Pija, pija fócu,
li lépiri ce see cóciu
se cóciu su la paltriccia,
lu fócu mia s’appiccia.

Una volta acceso il fuoco, recita la formula, sul letto di steli o paglia (la paltriccia) usato per accendere la fiamma, si metteranno a cuocere delle lepri; una variante del terzo verso recita: «se cóciu su la niccia», ossia si cuociono sull’esca (niccia) sulla quale viene convogliata la scintilla che sprizza dall’acciarino. Oppure si diceva:
Pija, pija fócu,
pàritu era cócu,
màmmota se ‘ngegna,
si tu piji mettu legna.

Queste formule sono antiche: nostri informatori che hanno superato gli ottant’anni di età, le conoscono per averle sentite recitare dai loro avi.
«Più che di filastrocche scherzose, si tratta di formule propiziatorie il cui senso è espresso dal primo verso: “pija, pija fócu”; gli altri versi riguardano il fine per cui si chiede al fuoco domestico di accendersi, ossia per poter cucinare; l’ultimo verso esprime magicamente l’azione realizzata – “lu fócu mia s’appiccia”, “eccu lu fócu che s’appiccia” – oppure la promessa di nutrire il fuoco nascente – “si tu piji mettu legna” – o di alimentare la fiamma col grasso delle carni: “li lèpiri ce sse cóciu”» (Polia-Chávez 2002: 161-162).

Utensili per il focolare.
Passiamo in rassegna gli utensili aventi una diretta attinenza col focolare domestico e con gli usi del focolare.

Abbreviazioni: l. = lunghezza; lg. = larghezza; h. = altezza; diam. = diametro; spess. = spessore 

Alari (li capifóchi). L’uso degli alari in ferro battuto era diffuso soprattutto nelle famiglie più abbienti. I più poveri, ossia la stragrande maggioranza del ceto rurale d’un tempo, più che gli alari di ferro usava disporre, ai lati interni del focolare, mattoni o tronchi come supporto alla legna che ardeva.

Paracenere (paracennere). Usati allo scopo di contenere le ceneri e le braci in modo che non fuoriuscissero dal piano del focolare (aròla) i paracenere erano costruiti, in genere da fabbri locali, con piattina di ferro. La forma dei paracenere era quadrata o semicircolare. I paracenere di forma quadrata, sui due angoli anteriori, potevano presentare una piegatura aggettante sul davanti del paracenere, che aveva lo scopo di rafforzare gli angoli. Indipendentemente dalla forma, nella parte anteriore, i paracenere erano muniti di un pomo di ottone.

Oracoli del fuoco
Secondo antichissime tradizioni precedenti il cristianesimo, si attribuiva la fuoco potere divinatorio: quando la fiamma ardeva chiara e scintillante, o scoppiettava allegramente, annunciava l’arrivo d’una lettera gradita, o la visita del padrone di casa; quando borbottava, o dal legno si sprigionavano sibilando soffi di vapore, si credeva che qualcuno stesse parlando male della famiglia. In questo caso, si usava prevenire i danni prodotti dalla maldicenza e dall’invidia altrui pronunciando formule come la seguente:
Chi ce mintua e ce merlengua
ce mittisse li piedi, lu capu e la lengua. 

Ossia: “Chi pronuncia il nostro nome (ce mintua) e sparla di noi (ce merlengua) possa bruciare in questo fuoco i piedi, la testa e la lingua”. Quando le braci non splendevano chiare e brillanti e si riducevano presto in cenere, significava che in breve le condizioni atmosferiche sarebbero peggiorate.

La legna da non ardere.
Sebbene Leonessa sia circondata da imponenti estensioni boschive, non tutta la legna era ritenuta adatta ad alimentare il focolare domestico. Ciò non derivava solo dal potere calorico sviluppato dai vari tipi di legno ma dalla natura sacra, o nefasta di alcuni alberi. Ad esempio, si evitata con ogni cura di alimentare il fuoco del focolare col legno del sambuco pena la sterilità delle galline le quali non avrebbero più deposto uova, o, addirittura, pena la morte della madre di famiglia. Secondo una credenza popolare, assai diffusa in Abruzzo e conosciuta in molte parti d’Europa, si credeva che Giuda si fosse suicidato impiccandosi a un albero di sambuco. Sebbene, oggi, nessuno dei nostri informatori leonessani ricordi la relazione sambuco – Giuda, è ipotizzabile che anche sul nostro altopiano, un tempo, questa leggenda fosse conosciuta. Ugualmente nefasto era ritenuto ardere nel focolare il legno dell’acero campestre (Acer campestris) perché, secondo una leggenda, durante la fuga in Egitto un arbusto di acero campestre (oppiu) avrebbe offerto riparo a Maria e al Bambino riparandoli dai fulmini. Si credeva per questo che il legno di quest’albero fosse refrattario al fuoco. Un detto ammoniva: «J’oppiu, casa ‘mpiccia e fòcu smorza».

Era assolutamente proibito ardere nel focolare domestico i vecchi gioghi da buoi pena l’isterilirsi dei campi. I gioghi inutilizzabili dovevano essere sotterrati, mai arsi. Così pure si evitata d’indurire al calore del fuoco i gioghi nuovi perché quel calore sarebbe risultato dannoso al collo delle bestie da tiro. Si evitata con ogni cura d’introdurre in casa tizzoni semicombusti trovati per via provenienti da focolari estranei: si credeva che se uno di quei legni avesse arso nel focolare domestico avrebbe provocato la morte del capofamiglia. I carboni o i legni provenienti da falò sacri, come quelli accesi la notte della vigilia della festa di S. Antonio abate, o quelli accesi nella notte della traslazione della Santa Casa di Loreto (“la Venuta”) erano gettati tra le fiamme del focolare domestico.

Published in La casa rurale
Saturday, 22 February 2014 00:00

La cucina

La cucina

Nella casa rurale tradizionale, la cucina non era solo la stanza dedicata alla preparazione dei cibi, era anche il principale luogo di ritrovo per i membri del nucleo famigliare e il luogo in cui veniva accolto chi giungeva in visita. La cucina era il solo ambiente sempre riscaldato della casa rurale. In cucina, inoltre, specie nella stagione fredda, si svolgevano lavori domestici come, ad esempio, il filato e il cucito. L’accesso alla dimora rustica avveniva attraverso la cucina sulla quale si apriva la porta del corridoio che portava alle stanze, oppure la porta dell’unica stanza da letto, o delle stanze da letto. Lo spazio occupato dalla cucina era piuttosto ampio, comunque, più ampio di quello dedicato alle altre stanze. Al centro della cucina, il tavolo attorno al quale si riuniva la famiglia per prendere i pasti. Oltre al tavolo, pochi mobili: una piattaia; un asse di legno munito di ganci – detto “‘ppiccarame” – cui venivano appesi pentole e tegami di rame; una credenza (spesso sostituita da una nicchia o un vano nella parete fornito di tavole); la madia (arca) usata per la preparazione del pane e per riporvelo; sedie e panche. L’acquaio tradizionale era ricavato da un blocco di pietra scavato a scalpello poggiato su due supporti in muratura. Prima dell’introduzione della rete idrica, accanto all’acquaio vi era il deposito d’acqua: la botticella di legno (cupélla) o il tino costruito con doghe (lu bigunciu). L’acqua da bere era contenuta nella “conca” di rame. Dal tetto della cucina pendevano “le stangarèlle”: lunghi bastoni appesi al soffitto mediante anelli di ferro, ai quali si appendevano pannocchie di granturco, serti di aglio e cipolle, derrate alimentari (ad esempio il lardo da usare in cucina, o il pesce affumicato). Alle pareti erano appesi i vari setacci da usare per la preparazione del pane e della pasta.

Il focolare. Il cuore della cucina rurale e dell’intera dimora era il focolare. Prima dell’introduzione delle cucine a carbonella, i cibi venivano cotti sul fuoco del focolare. Il focolare, inoltre, fungeva da naturale centro d’aggregazione per i componenti della famiglia e anche per i vicini che, alla sera, solevano andare in visita e sostare attorno al fuoco. Per quanto riguarda la posizione, il focolare leonessano non è mai posto al centro della stanza, ma addossato a una parete della cucina. Il piano del focolare (aròla, dal lat. areola) si alza sul pavimento per circa 20 o 30 cm.. I focolari più antichi erano più grandi e profondi dei più recenti che, più che per cucinare, servono per riscaldare. La cappa, in muratura, era munita sul davanti di una mensola di legno poggiata sul trave frontale del focolare sulla quale veniva posta la lampada e altri oggetti.

Il focolare come centro d’aggregazione. «Il focolare domestico era tenuto sempre acceso durante il giorno a iniziare dalle primissime ore del mattino poiché le donne usavano cucinare sulla fiamma del camino dove, appeso alla catena, vi era sempre “lu callaru” di rame stagnato: il capiente caldaio rifornito continuamente d’acqua, mentre sui tripodi di ferro si poggiavano i tegami per cucinare. Di notte le braci venivano ammucchiate con la paletta di ferro e ricoperte d’una coltre di cenere, azione fatta oggetto di speciali precauzioni rituali. Semisepolta nella cenere veniva lasciata, durante la notte, la pignatta di terracotta fornita di manico (la pigna) in cui si facevano ammollare ceci, o fagioli secchi per la minestra del giorno seguente: Accanto al fuoco, di giorno, sostavano i più vecchi della famiglia occupati in piccole faccende e lavori minuti, oppure le donne addette alla filatura della lana, o impegnate a collaborare nella preparazione dei pasti.

Mentre nello spazio comune del vissuto quotidiano vi erano spazi riservati agli uomini e altri alle donne, il focolare per sua natura favoriva la socializzazione indipendentemente dal sesso e dall’età: questa, dal punto di vista culturale, era la sua più importante funzione. Dopo cena, infatti, il camino acquisiva una diversa dignità: diventava il centro attorno al quale si svolgeva la vita famigliare ed avveniva, in modo speciale, la trasmissione della cultura tradizionale. Attorno al fuoco si recitava il rosario serale assieme alle preghiere corrispondenti alle feste più sentite e importanti del calendario liturgico e della devozione famigliare.

Attorno al fuoco si discutevano questioni di famiglia, problemi riguardanti il lavoro, si prendevano assieme le decisioni più importanti. Attorno al fuoco gli anziani entravano in contatto coi giovani, un contatto assai più diretto di quello quotidiano che avveniva sul lavoro, o nei brevi momenti dei frugali pasti comunitari. Attraverso la parola degli anziani, il patrimonio tradizionale della cultura rurale veniva riproposto, riaffermato, veicolato ai giovani. In una parola, avveniva quel necessario processo di “tramandamento” che è proprio della tradizione quand’essa è ancora viva e operante. E la tradizione forgiava nei giovani la coscienza dell’identità culturale assicurando alla comunità rurale la persistenza nel tempo di tale identità. Un’identità profondamente religiosa i cui punti ideali di riferimento erano Cristo, la Vergine, i santi, gli eroi della storia patria e quelli delle storie attinte al repertorio della grande poesia di Dante, Ariosto, Tasso che veniva appresa a memoria. Sottratti alle rarefatte regioni della grande creazione poetica e al dominio colto dei letterati, pur non avendo perso nulla della loro nobiltà, gli antichi cavalieri erano divenuti eroi del popolo ed erano da questo amati, sognati, additati ad esempi di vita. Assieme ad essi erano entrati a far parte della tradizione popolare anche i grandi eroi della storia più antica assieme a personaggi d’una storia molto più recenti: i briganti. Le narrazioni iniziavano dopo la recita del rosario, mentre la cucina era immersa nella penombra rischiarata dai bagliori del fuoco.

Dopo cena ogni lume era spento per ridurre il consumo d’olio o di sego. Spesso si risparmiava anche la legna perché due o più famiglie si riunivano a turno presso uno stesso focolare. Quando ci si recava in casa d’altri per passare la serata accanto al fuoco si usava una parafrasi: “ce jimu a ssede’: ci andiamo a sedere” e l’incontro si chiamava “la seduta”. Ai convenuti si usava offrire piccole pere selvatiche (pera pazze) conservate in un tino con acqua che, col tempo, diventava acidula. Oppure si offrivano loro mele selvatiche (schianchi) lasciate maturare a lungo sotto la paglia. Ma soprattutto si metteva in comune il dono sacro del fuoco, simbolo d’ospitalità, solidarietà e della famiglia». (Polia-Chávez 2002: 35-37).

In omaggio al valore sacrale della fiamma del focolare domestico, si evitava di sputare nel fuoco o di gettarvi immondizie o lordure. Si gettava, invece, nel fuoco l’acqua usata nei riti di lecanomanzia effettuati per diagnosticare la presenza dell’invidia e del malocchio e neutralizzarne gli effetti perniciosi. In questo caso, il potere purificatore del fuoco avrebbe svolto una funzione benefica.

Published in La casa rurale
Monday, 17 February 2014 00:00

Anelli con gancio

Oltre alle grandi catene, catene più piccole, composte da pochi anelli e un gancio, agganciate agli anelli della catena da fuoco servivano a permettere di appendere sul fuoco recipienti più piccoli. L’esemplare qui raffigurato, proveniente da Ocre (Leonessa) appartiene alla nostra collezione museale (n. i. 166).

 

Anelli con gancio da camino catenella pe’ lu fócu (n. i. 176)

provenienza
: Ocre (Leonessa)
materiale: ferro
descrizione: composta da tre anelli e un gancio, questa piccola catena veniva appesa alle ancore dei ganci della catena da camino, o direttamente al ferro passante per la cappa per servire da catena supplementare per recipienti di ridotta capienza
misure: h. tot. cm. 25,5; anelli: diam. cm. 8 spess. mm. 4; gancio: h. cm. 8,5
stato di conservazione: ottimo
acquisizione: rinvenimento

anno: 2011 

Secondo un’antica tradizione, forse d’origine abruzzese, nell’imminenza del temporale alcuni usavano spiccare dal camino la catena da fuoco e gettarla fuori sull’aia. A volte, oltre alla catena, si gettavano sull’aia anche le molle e la paletta. Questa tradizione, fin verso la metà degli anni ’50 del Novecento, era diffusa anche nella vicina Valnerina.

 

Published in La casa rurale

We have 28 guests and no members online